Il fotovoltaico organico: un aiuto dai batteri

Tra le più studiate frontiere del mondo del fotovoltaico, rientra, senz'altro, quella del fotovoltaico organico o OPV (Organic Photovoltaic), che si differenzia dal fotovoltaico tradizionale per la sostituzione di pigmenti organici ai tradizionali semiconduttori inorganici. In quanto già originariamente ispirato al processo di fotosintesi clorofilliana, non sorprende che sempre più ricercatori si stiano indirizzando alla natura, alla ricerca di nuove idee per migliorarne l'efficienza e ridurne i costi.

Il fotovoltaico organico ha tratto ispirazione dalla fotosintesi clorofilliana

(Il fotovoltaico organico ha tratto ispirazione dalla fotosintesi clorofilliana)

Fra questi, figurano anche due ricercatori della Cambridge University, Adrian Fisher e Paolo Bombelli, che hanno sviluppato un dispositivo biofotovoltaico a base di batteri fotosintetici ed alghe.

Il principio di questa tecnologia è lo stesso studiato da Zackary Chiragwandi e dal suo team alla Chalmers University of Technology di Göteborg, in Svezia. Qui, una proteina fluorescente, tipica della medusa Aequorea Victoria, è stata utilizzata nella realizzazione di una cella a combustibile biologico, che genera energia elettrica senza una fonte esterna di luce. La cella è alimentata da una miscela di sostanze chimiche ed enzimi, (come il magnesio e la luciferasi) presenti nel metabolismo delle lucciole.

Tornando a Cambridge e al suo dispositivo biofotovoltaico a base di batteri fotosintetici e alghe, quel che è stato notato che le cellule delle alghe, una volta esposte alla luce, producono ossigeno ed elettroni che sono, poi, convertiti in energia elettrica.

Il problema, però, è che l'efficienza di conversione risulta, per ora, solo dello 0,1 %, decisamente lontana dal coefficiente del 10/15 % delle Dye Sensitized Solar Cells (DSSC o DSC) note anche come celle di Grätzel, le "vip" del fotovoltaico organico, in cui  due vetrini conduttori  fanno da elettrodi. La squadra di Cambridge è, però, estremamente fiduciosa ed è alla ricerca dell'alga più produttiva in termini di energia. Il sistema "si promette promettente"; mentre, infatti, le DSC richiedono materiali costosi (come il biossido di titanio posto tra i due vetrini conduttori), la tecnologia di Fisher e Bombelli (come, del resto, anche quella studiata in Svezia), non richiede l'aggiunta di materiali costosi e può essere collocata direttamente sulla parte superiore dell'elettrodo, con una notevole semplificazione del processo di realizzazione, unita a una riduzione dei costi complessivi.

Alghe, tra i costituenti del dispositivo biofotovoltaico studiato a Cambridge

(Alghe, tra i costituenti del dispositivo biofotovoltaico studiato a Cambridge)

Batteri compaiono anche nelle celle solari a base biologica della Ruhr-Universität di Bochum (RUB). Wolfgang Schuhmann, Matthias Rögner e il loro team (finanziati dalla Deutsche Forschungsgemeinschaft nell'ambito del Cluster di Eccellenza RESOLV e del programma europeo CyanoFactory) hanno dapprima isolato delle proteine fotosintetiche da cianobatteri termofili (che vivono nelle aree calde del Giappone e, per questo, hanno fotosistemi molto più stabili di quelli di altre specie viventi in condizioni più estreme); poi, hanno integrato dei fotosistemi 1 e 2 in molecole complesse e artificiali (complessi elettro-conduttivi chiamati idrogel redox), e, infine, le hanno inserite nel core del dispositivo fotovoltaico.

Anche in questo caso, il problema è lo stesso: l'efficienza; appena pochi nanowatt per centimetro quadrato, ma, anche in questo caso, gli studiosi sono fiduciosi e contano che le loro ricerche possano essere un punto di partenza per lo sviluppo di nuovi dispositivi solari semi-artificiali e naturali, che si servono della fotosintesi.

AutoreDott.ssa Morena Deriu


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