Dal fotovoltaico di prima generazione all'ibrido organico-inorganico
Fotovoltaico di prima, seconda, terza e, a quanto pare, quarta generazione. Quali sono le differenze e quali i passi che hanno portato agli ultimi prodotti, in grado di coniugare organico e inorganico?
(Da quando convertire l'energia solare in energia elettrica sembrava fantascienza, il fotovoltaico ha fatto passi inimmaginabili)
I moduli fotovoltaici di prima generazione (che, ancora oggi, hanno un'efficienza del 20 % o poco più) utilizzano come materiale semiconduttore il silicio, l'elemento chimico con 14 come numero atomico. La loro peculiarità è quella di essere in grado di catturare solo le radiazioni solari con una lunghezza d'onda inferiore a 1.14 micron (più o meno intorno al 40 % della radiazione solare) ed è proprio nell'ottimizzazione di questi dati (anche in relazione ai costi di produzione) che si sta concentrando la ricerca di settore. Come? Ottimizzando il ricorso ai cristalli di silicio (che, da soli, gravano per il 25 % sul costo del pannello) e producendone di nuovi, tenendo conto delle esigenze del mercato fotovoltaico.
(Lo schema di un pannello fotovoltaico di prima generazione)
Poi, arrivò la seconda generazione: celle ancora in silicio ma a film sottile. La loro caratteristica (lo si capisce già) è quella di avere uno spessore inferiore ai loro antenati, unito, tra l'altro, a una maggiore flessibilità. I costi di produzione sono ridotti dal minore impiego di silicio, dalla possibilità di poterli lavorare con tecnologie laser; stesso discorso per quelli di realizzazione degli impianti. Rispetto ai tradizionali pannelli in silicio, hanno, però, lo svantaggio di rendere meno, ma la loro flessibilità e sottigliezza li rende particolarmente adatti a essere sfruttati nei più disparati contesti d'uso, come, ad esempio, le facciate di un edificio, rafforzandone l'isolamento termico-acustico.
(Il fotovoltaico di seconda generazione è sempre in silicio ma più sottile e flessibile)
Su questa scia, il fotovoltaico di terza generazione mira allo sviluppo di celle solari sempre più economiche e facilmente integrabili nelle architetture moderne. La svolta, in questo settore, è rappresentata dall'ingresso di materiali organici: il silicio è, infatti, sostituito da polimeri (sostanze composta da molecole costituite da una o più specie di atomi o gruppi di atomi legati tra loro) con uguali funzioni fotovoltaiche. Rientrano in questo gruppo le cosiddette celle di Grätzel o DSC (Dye-sensitized Solar Cell), dove i due vetrini semiconduttori sono separati da titanio, le celle totalmente organiche (con un'efficienza massima ancora molto bassa del 4-5 %) e le celle ibride organiche-inorganiche.
Fra queste, rientrano, appunto, i pannelli solari recentemente realizzati dai ricercatori dell'università di Roma Tor Vergata, in collaborazione con il Polo Solare Organico della Regione Lazio (CHOSE). In questo caso, l'ingrediente fondamentale sono perovskiti ibride organiche/inorganiche; il risultato un pannello di appena 180 micrometri, in grado di assorbire la stessa quantità di luce solare di un pannello in silicio.
(Il fotovoltaico di terza generazione ha visto l'ingresso di materiali organici e ibridi organici/inorganici)
Cosa ci riserva il futuro? L'avvento della quarta generazione. I pannelli solari saranno realizzati con nanomateriali dotati di proprietà fotovoltaiche, la cui realizzazione sarà possibile grazie a processi di ricottura pulsata. Nuove combinazioni di materiali organici e inorganici saranno alla base di celle sempre più efficienti e convenienti su ampia scala.