Produrre energia dal mare: l'energia mareomotrice
La natura offre all'uomo tante opportunità per soddisfare i propri fabbisogni energetici. Sta all'uomo saperle cogliere e trovare nuove strade per sfruttarle al meglio e renderle fruibili a un numero sempre più ampio di individui, a ogni angolo della terra. Per l'intera popolazione mondiale, un tesoro inestimabile è rappresentato dall'acqua. Circa il 70, 8 % della superficie terrestre è, infatti, ricoperto da acqua (senza contare che è anche il principale costituente del corpo umano) e i 3/4 sono distribuiti tra gli oceani. Perché, dunque, non sfruttarne l'energia per produrre (il gioco di parole è inevitabile) energia?
(Circa il 70 % della superficie terrestre è ricoperta d'acqua)
Negli scorsi mesi, dagli Stati Uniti d'America ci è giunta notizia del nuovo e sorprendente convertitore di energia, nato dalla mente del giovane Yinger Jin, in grado di trasformare il moto ondoso delle masse d'acqua in energia elettrica. Da questa parte del mondo, invece, l'Unione europea è direttamente impegnata nel progetto "Crescita blu", che mira a facilitare lo sviluppo del settore dell'energia oceanica all'interno dei membri della Comunità. Tra i settori da promuovere, vi è, appunto, quello dell'energia mareomotrice.
Cerchiamo, quindi, di capire di cosa si tratta.
(Il giovane Yinger Jin ha progettato un dispositivo che converte in energia elettrica il moto ondoso ai bordi di una piscina)
L'energia mareomotrice rientra fra le cosiddette fonti di energia alternativa e rinnovabile; si ottiene, infatti, sfruttando i naturali spostamenti d'acqua connessi alle maree. Questo fenomeno naturale (che consiste nell'innalzamento e nell'abbassamento giornalieri del livello del mare grazie all'azione gravitazionale della luna e del sole) non supera, di solito, un metro di ampiezza. In alcune zone della Terra, può, però, accadere che il dislivello raggiunga valori decisamente più elevati (ci sono casi di maree con 20 m di ampiezza verticale) ed è in queste aree che le maree possono essere sfruttate come fonte di energia elettrica.
Questo accade, ad esempio, a Saint Malo (in Francia), la celebre località bretone sulle coste della Manica, dove la marea ha un'ampiezza di ben 10 metri. Qui, è stata costruita una centrale con diga in pietrame, sei chiuse di entrata e 24 turbine a bulbo, sviluppate appositamente.
(L'isola di Saint Malo, in Bretagna)
Come accade, dunque, che l'energia della maree venga sfruttata?
Sostanzialmente, è possibile ricorrere a quattro diverse metodologie.
- La prima sfrutta il sollevamento di un peso, in contrapposizione alla forza di gravità.
- La seconda si basa, invece, sul movimento di una serie di turbine all'interno di specifici cassoni, grazie a un meccanismo ad aria compressa.
- Il movimento delle maree può, inoltre, sfruttato per muovere ruote a pale (dal cui movimento si ottiene, appunto, l'energia elettrica)
- Infine, è possibile riempire e svuotare bacini, azionando il movimento di un gruppo di turbine. Quest'ultima tecnica sembra, per ora, quella in grado di dare migliori risultati.
(L'energia mareomotrice sfrutta gli spostamenti d'acqua naturalmente connessi alle maree)
Del resto, già gli antichi avevano compreso le potenzialità derivanti dallo sfruttamento dell'energia mareomotrice e avevano costruito appositi "mulini a marea". Durante le fasi di alta marea, l'acqua era raccolta all'interno di un piccolo bacino e qui trattenuta per mezzo di paratie. Questo permetteva che, nella fase di deflusso, l'acqua fosse convogliata in un canale, dove, passando, muoveva una ruota a propria volta collegata a una macina. Mulini di questo tipo erano particolarmente numerosi proprio nella Bretagna del XVI secolo.