Celle solari ultra calde, una nuova frontiera per il fotovoltaico

Non passa praticamente giorno senza che enti e istituti di ricerca (pubblici e privati e sempre più in sinergia) sfornino nuove e sempre più avveniristiche scoperte nel campo del fotovoltaico. Ora, è la volta della University of Stanford (in California), a capo di un team di ricerca di cui fanno parte anche la University of Illinois-Urbana Champaign e la North Carolina State University. Con uno studio pubblicato sulla rivista multidisciplinare on-line Nature Communications (che ospita contributi in ambito biologico, fisico e chimico), il team ha, infatti, annunciato lo sviluppo delle prime celle solari ultra-calde, in grado di sfruttare il calore e migliorare sensibilmente l'efficienza dei pannelli fotovoltaici.

Adattatore in ceramica e tungsteno del nuovo TPV
(Adattatore in ceramica e tungsteno)

Determinante è stato l'utilizzo di un nuovo materiale che, potendo resistere a temperature sino a 1200o C, è conseguentemente in grado di trasformare il calore del sole in raggi infrarossi, poi utilizzati dalle celle solari tradizionali. Queste hanno, infatti, tradizionalmente un cuore formato da un foglio di silicio, in grado di assorbire, appunto, solo i raggi infrarossi. Le onde ad alta energia, invece, si perdono sotto forma di calore, mentre quelle a bassa energia si limitano ad attraversarlo.

Il nuovo materiale frutto degli studi del team della Stanford è, però, in grado di evitare la dispersione del calore, veicolato dalle onde ad alta energia, grazie alla particolare commistione di materiale ceramico e tungsteno, che taglia la luce in lunghezze d'onda più piccole, assorbibili dalla cella.

Il risultato è un "adattatore" in grado di funzionare sino alla temperatura record di 1800o C per un'ora e 980o C o più per circa dodici ore; un risultato importante, perché, oltre a confermare le potenzialità del cosiddetto termo-fotovoltaico (TPV), gli apre, per la prima volta, la strada a un suo impiego in ambito commerciale, proprio grazie alla guadagnata stabilità termica, che permette di ridurne i costi, avvicinandoli a quelli del fotovoltaico tradizionale.

Il sistema termo-fotovoltaico, che combina insieme la luce e il calore del sole per generare energia, era stato messo a punto dai ricercatori della Stanford University nel 2010 con il progetto PETE (Photon Enhanced Thermionic Emission), che prometteva un potenziale di efficienza doppio rispetto ai pannelli fotovoltaici tradizionali, proprio perché in grado di eccellere alle temperature più elevate.

Il fotovoltaico tradizionale in silicio, infatti, per via del mancato assorbimento delle onde ad alta energia e della conseguente dispersione del calore, è solo teoricamente in grado di raggiungere un'efficienza del 34 %. Nella realtà, infatti, i coefficienti sono decisamente più bassi (i pannelli multi-cristallini della August JA Solar Holdings Co., uno dei più grandi produttori mondiali, convertono effettivamente in energia elettrica solo il 18,3 % dell'energia solare).

Si intuiscono, dunque, molto bene quali siano le potenzialità del termo-fotovoltaico, che, tra le altre cose, si è sin da subito prestato particolarmente bene all'utilizzo nei sistemi fotovoltaici a concentrazioneche usano sistemi ottici per concentrare la luce del sole verso celle fotovoltaiche ad alta efficienza e che possono raggiungere anche temperature di 800° C. Il termo-fotovoltaico è, infatti, stato essenzialmente progettato per superare i limiti termici del fotovoltaico tradizionale: anziché inviare la luce del sole direttamente alle celle solari, giunge a queste attraverso l'intermediazione di due parti, una che si riscalda quando esposta alla luce e una che converte il calore in raggi infrarossi, guadagnando, così, in termini di efficienza.

AutoreDott.ssa Morena Deriu


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