Campi di girasole per un'economia sostenibile?
Iniziato ad Aprile di quest'anno e in programma sino a Marzo 2016, lo studio sul biofuel promosso in Sud Africa dall'Agricultural Research Council (ARC) mira a sviluppare la coltivazione di campi di girasole ad alto rendimento, in grado, cioè di produrre, maggiori nonché migliori quantità di olio, utilizzato poi per la produzione di questo biocombustibile ottenuto da materiali rinnovabili (come grassi animali, mais, canna da zucchero, soia e, appunto, semi di girasole). Del resto, fu proprio in Sud Africa che dopo le crisi del carburante del 1973 e del 1979, si lavorò per ottenere biodiesel dai campi di questi fiori. I più grandi produttori di olio di girasole restano, però, ancora oggi Ucraina e Russia.
Lo studio sudafricano mira, inoltre, a migliorare i processi di raccolta e lavorazione e a trovare nuovi sistemi di valorizzazione per questa frontiera in crescente espansione delle energie rinnovabili. Rientra, infatti, tra le politiche messe in atto dal governo sudafricano a favore della diversificazione e dello sviluppo di questo tipo di energie e delle industrie su queste basate. A dispetto, infatti, degli investimenti iniziali, i costi di mantenimento sono generalmente più bassi rispetto alla lavorazione dei carburanti tradizionali, che stanno diventando via via sempre meno competitivi.
(Coltivazione di girasoli)
L'olio di girasole, ottenuto dai semi attraverso solventi chimici o spremendoli e frammentandoli attraverso un'apposita macchina e poi generalmente sottoposto a processi di raffinazione (così da garantire una maggiore resistenza al calore), è ormai già da tempo utilizzato in cucina (per le fritture) e in cosmesi (per le sue proprietà non comedogene), e sta conoscendo un utilizzo sempre maggiore nel campo delle energie rinnovabili, in particolare a livello industriale. Il suo potenziale energetico equivale, infatti, al 93 % di 2 U.S. di carburante tradizionale.
Come mostrato da studi condotti dalla University of Vermont Extension, i girasoli si adattano facilmente a una grande varietà di situazioni e richiedono meno attenzioni di altre colture; senza contare che i diversi mercati di vendita implementano, senz'altro, le coltivazioni su larga scala. A questo, si aggiungono gli importanti esiti positivi sulle emissioni di CO2. I girasoli assorbono, infatti, il diossido di carbonio presente nell'atmosfera, immagazzinando al proprio interno il carbonio e rilasciando ossigeno. Ciò significa che, una volta convertiti i semi in biodiesel, il carbonio è nuovamente combinato con l'ossigeno, ma a impatto zero perché, in sostanza, è rilasciata la stessa quantità di carbonio che la pianta aveva già assorbito dall'atmosfera.
Eppure, nonostante questi innegabili vantaggi, anche il biodiesel derivante dall'olio di girasole (come gli altri eco-carburanti) continua a suscitare preoccupazioni etiche e alimentari, dovute a studi che prevedono una crescita del costo del cibo, conseguente a una riduzione delle derrate alimentari legata a un aumento delle superfici destinate a culture non alimentari ma per la produzione dei carburanti. Il girasole, però, tra tutte queste culture, è probabilmente la più versatile in campo economico e produttivo.
Intanto, negli Stati Uniti d'America, si sta studiando come convertire i rifiuti domestici derivanti dall'utilizzo di olio di girasole in cucina, per ottenere biodiesel attraverso processi di transesterificazione, la reazione chimica che attraverso un reagente alcolico e un catalizzatore (come, ad esempio, la soda caustica), è alla base della produzione di qualsiasi tipo di biocarburante.