Biofotovoltaico: la cella solare che sfrutta la fotosintesi clorofiliana

Se i pannelli solari fotovoltaici sono stati considerati fino adesso una delle tecnologie più ecologiche e sostenibili per la produzione dell'energia elettrica, una nuova alternativa ai combustibili fossili sta nascendo al MIT (Massachusetts Institute of Technology), grazie ad una ricerca condotta dal Center for Biomedical Engineering.

http://www.nature.com/srep/2012/120202/srep00234/full/srep00234.html

La sperimentazione ha come oggetto le celle biofotovoltaiche ed è iniziata ad opera di Shuguang Zhang, scienziato e direttore associato del centro di ricerca. Inizialmente non si sono avuti risultati rilevanti perché la capacità di conversione di queste nuovissime celle era molto bassa, o comunque insostenibile rispetto ai comuni pannelli in silicio. La ricerca è stata poi ripresa dal fisico e ricercatore Andreas Mershin.

Nel dettaglio, Mershin si occupa di tutto quello che concerne le tecniche fotovoltaiche applicate alla bioelettronica e ai sistemi di rilevamento chimico di vari tecnologie che utilizzano le proteine vegetali integrati ai semiconduttori elettrici. Mershin, seguendo le orme del sue predecessore, si è quindi applicato su biofotovoltaico. Questa nuova disciplina integra i processi della fotosintesi clorofilliana per la conversione dell'energia luminosa in energia elettrica per mezzo di un insieme di sostanze organiche.

Tipi di cellule biofotovoltaiche

(Tipi di cellule biofotovoltaiche)

Nello specifico, il ricercatore si è basato sul comportamento del Fotosistema-I (PS-I), un complesso di molecole che è responsabile della seconda fase della fotosintesi, ovvero la fase di fissazione del carbonio, o fase oscura cioè indipendente dalla luce. Per essere specifici, la fotosintesi è quel processo chimico che coinvolge piante verdi e altri organismi come alghe e batteri i quali producono carboidrati o sostanze chimiche in generale a partire dall'anidride carbonica dispersa nell'atmosfera e nell'acqua in presenza di luce solare. Questo processo, consiste, quindi, in una serie di reazioni chimiche anaboliche, ovvero di sintesi del carbonato.

La fotosintesi si sviluppa principalmente in due fasi, una prima luminosa e una di fissazione del carbonio ed è proprio su questa che la ricerca del MIT si è concentrata perché nella seconda avviene il massimo assorbimento della luce.

Struttura del fotosistema

(Struttura del fotosistema)

Durante la ricerca il PS-I è stato estratto da alcuni vegetali, in particolare alghe blu e verdi, ed è stato deposto sul vetro della cella in modo da creare uno strato chimicamente stabile che avrebbe potuto produrre corrente elettrica quando esposto alla luce, esattamente come in una cella fotovoltaica. Lo strato di PS-I è composto precisamente da 96 molecole di clorofilla con i donatori di elettroni e accettatori tali da realizzare un passaggio coerente di energia.

Per permettere la trasmissione dell'energia accumulata in superficie, sotto lo strato di vetro sono stati istallati dei nano-tubi (tubicini di diametro incredibilmente ridotto) di ossido di zolfo. Questo crea un substrato completamente estraneo al complesso ma necessario al funzionamento del pannello, come accade per le molecole di biossido di carbonio distribuite sempre al di sotto del vetro.

Quando i raggi solari colpiscono la cella, il processo di conversione avviene sia grazie alle molecole di biossido sia al concatenamento del PS-I con lo zolfo. L'insieme di queste molecole assorbe le radiazioni e le trasmette attraverso i nano-tubi, che di conseguenza trasmettono il segnale alle strutture sottostanti. Ricerche simili erano state condotte anche sulle celle fotovoltaiche organiche.

Fotovoltaico organico

(Fotovoltaico organico)

I problemi che sono sorti durante la sperimentazione dei pannelli biofotovoltaici sono, però, due. Il primo consiste nell'essiccamento e una denaturazione dell'estratto di PS-I a causa proprio delle molecole estranee che vengono aggiunte e questo comporta una rapida perdita della funzione, il secondo problema, invece, mette in evidenza una scarsa potenza elettrica del biofotovoltaico e, di conseguenza, uno scarso interesse per la sua produzione.

Le ricerche effettuate da Andreas Mershin e dal suo team hanno innalzato questa soglia fino a portare il nuovo sistema ad essere oltre 10 mila volte più efficiente del precedente e una delle motivazioni che il ricercatore ha addotto per valorizzare la sua ricerca è stata quella della necessità di osservare la natura, i pini in particolare, decidendo, quindi, di "Creare una foresta su un microscopico chip".

AutoreDott.ssa Chiarina Tagliaferri


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